INTERSOS in Ucraina fornisce assistenza medica salvavita a Kherson

2022-12-07 16:35:34 By : Mr. Wang Yongliang

In queste ore, a pochi giorni dalla fine dei combattimenti a Kherson, il nostro staff in Ucraina sta consegnando forniture mediche urgenti nelle aree della città che sono solo di recente divenute accessibili, prendendo parte a un convoglio inter-agenzie guidato dalle Nazioni Unite. “Le forniture in arrivo a Kherson comprendono kit salvavita per traumi e interventi chirurgici d’emergenza. Si stima che serviranno a soccorrere 26.600 pazienti e a garantire che le strutture sanitarie possano continuare a funzionare. Le nostre squadre sul campo sono impegnate a rispondere rapidamente ai bisogni umanitari nelle aree più difficili da raggiungere”, ha dichiarato Aleksandra K. Wisniewska, responsabile della nostra missione in Ucraina.

Nelle aree recentemente riconquistate dell’Ucraina, le condizioni umanitarie sono disastrose a causa dell’ampia distruzione delle infrastrutture causata dai pesanti combattimenti e dalla presenza di mine. La popolazione di Kherson, oltre al il trauma di mesi di bombardamenti e sfollamenti forzati, sta lottando anche con la carenza di beni di prima necessità e servizi essenziali. La città deve fare i conti con la mancanza di acqua ed elettricità, mentre i mercati sono a corto di cibo e le strutture sanitarie scarseggiano i medicinali e le attrezzature mediche. Con l’inizio del rigido inverno, queste vulnerabilità sono naturalmente esacerbate.

INTERSOS è entrata in Ucraina all’inizio di marzo e attualmente opera a Lviv, Vinnytsia, Poltava, Odesa, Dnipropetrovsk, Kharkiv e Mykolaiv, fornendo assistenza psico-sociale e medica agli sfollati interni e alle comunità che li ospitano.

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Ritratto di Mais Hameed, sfollata dalla zona di Al Zab: “Vivo da 6 anni nel campo di Jeddah, perché non sono stata accolta nella mia zona di origine. La mia famiglia è accusata di affiliazione all’Isis, mio marito è in carcere, e se torno nella nostra zona di origine verrò arrestata, come hanno già fatto, davanti a me, con le mogli di due miei fratelli, quindi non voglio rischiare di tornare indietro. Mia madre ha il cancro, e se tornasse nella nostra zona di origine, verrebbe anche lei arrestata. Non ho mai lasciato la mia zona finché non siamo stati liberati e non c’erano più membri dell’ISIS. L’esercito è arrivato e sono dovuta andare via di casa. Ho iniziato a camminare e ho continuato a camminare, perché le persone che guidavano le auto non avrebbero accettato di prendermi a bordo, fino a quando non sono arrivata al campo di Jeddah 5. Ho quattro figli. Mio figlio maggiore ha 13 anni e lavora a cottimo. La mia seconda figlia ha 11 anni, la terza ha 8 anni e la mia quarta figlia ha 6 anni. Nessuno di loro ha documenti legali. I miei figli non hanno futuro. Prima dell’Isis la vita era bella, non ci preoccupavamo di niente, ma ora siamo stanchi e stiamo cadendo a pezzi”.

Ritratto di Khamis Hsein Salah. “Dopo 5 mesi in un campo, senza lavorare, siamo tornati al villaggio di Mthallath per cercare un lavoro. Lavoriamo nell’agricoltura. La mia casa è stata bruciata e non ho soldi per ricostruirla. Sono ancora un migrante non per la guerra ma per le cattive condizioni di vita. Non c’è modo di guadagnarsi da vivere nel villaggio e siamo nella stessa situazione da anni. Lavoro in questo terreno agricolo per mio cugino, non ho altro supporto. Abbiamo bisogno di stipendi, compensi per le nostre case e un centro sanitario nel villaggio. Non ci sono strade asfaltate nel paese, tutti i 7 km di strade sono in sabbia. Quando mio figlio si ammala, non posso portarlo dal dottore”.

Iraq, Rabia. Ritratto di Khalid Rabash Kanush. “Ho 60 anni. Sono uno dei leader della comunità (mukhtar), un membro del gruppo della comunità per l’advocacy e la pace e il capo dei genitori e degli insegnanti di Rabia. Questa zona è considerata una piccola comunità irachena; quando entri nei negozi Rabia, vedrai curdi, azidi e arabi sunniti e sciiti. Grazie a Dio, siamo uniti. Il 3 agosto 2014 la comunità è stata spostata da Rabia a Baghdad, Erbil e Mosul. Circa 600 sfollati interni sono tornati qui. Anche la maggior parte delle famiglie sfollate nei villaggi vicini sono tornate a Rabia. Hanno ricevuto la maggior parte del sostegno da ONG, come INTERSOS, che hanno fornito documenti legali come nazionalità irachena mancante, carta d’identità, certificato di matrimonio, certificato di nascita, nonché articoli alimentari e non. Grazie al sostegno delle ONG, la comunità ha potuto rompere il recinto e impegnarsi in modo migliore, soprattutto con le donne, migliorando le attività commerciale e l’istruzione”.

Iraq, Baiji. Ritratto di Thaer Khaleel Sahan: “Nel 2014 quando Isis è entrata nella nostra zona, siamo rimasti quattro mesi. Poi siamo andati ad Al-Jazeerah, poi siamo partiti per Ramadi, poi siamo arrivati a Tikrit dove siamo rimasti per un anno e mezzo nel campo. Quando l’area di Baiji è tornata sicura, sono tornato anche io ma ho trovato la nostra casa distrutta e non possiamo permetterci di ricostruirla. La vita è difficile, tutto è difficile, non abbiamo niente per ricostruirla com’era prima quindi la lasciamo così com’è”.