L'agenda delle mostre da vedere questa settimana in tutta Italia

2022-12-07 16:33:52 By : Ms. Sarah Zhu

Pittura, scultura, disegno, installazioni, fotografia. L'arte contemporanea in 15 appuntamenti tra gallerie, musei, fondazioni ed eventi diffusi

L'agenda delle mostre di fine novembre concentra molteplici appuntamenti dedicati all'arte contemporanea, ma non solo; non rimane che affrontare il piacere della scelta. Tra gallerie, musei, fondazioni ed eventi diffusi, le proposte di questo mese vedono protagonisti artisti che si pongono in dialogo con il passato o leggono l'epoca classica in modi diversi, si interessano all'immateriale, interpretano emozioni e sensazioni con i quali l'uomo si è sempre dovuto confrontare, come paura, solitudine, abitudine, ma anche l'incertezza corrispondente al proprio stato interiore e vissuto. O ancora grandi interpreti del Novecento e dell'età contemporanea indagano lungo la linea della storia il tema urgente dell'identità, mentre un altro progetto espositivo è dedicato al dialogo tra le ricerche scultoree di due artisti internazionali, per evidenziarne i punti di contatto e di divergenza. Gli appuntamenti d'autunno non dimenticano la tematica della guerra, ancora attuale, celebrando l'opera emblematica di un grande maestro spagnolo o mostrando lo sguardo di un'artista che racconta, attraverso le sue opere e le fotografie, le storie delle donne rifugiate ucraine. Nella lista delle mostre di questa settimana, trovano spazio le 'pelli', ovvero i disegni su resina, di un grande scultore, architetto e designer, ma anche le sperimentazioni di una scultrice che propone nuova associazioni di materiali o la relazione tra Roma e un artista internazionale che vi ha vissuto e lavorato alla fine del XX secolo. Infine, è da non perdere un'esposizione dedicata ai progetti dei negozi Olivetti nel mondo, firmati da grandi architetti e ritratti da fotografi internazionali.

Il negozio di Venezia progettato da Carlo Scarpa nel 1957, quello di New York sulla Quinta Strada datato 1954 e firmato dallo studio BBPR o lo spazio di Parigi ideato da Gae Aulenti nel 1967. Sono solo alcuni dei negozi Olivetti nel mondo a cui è dedicata la mostra che apre al Museo Garda. Il progetto espositivo propone allestimenti evocativi degli spazi, presentando allo stesso tempo anche una selezione di immagini fotografiche che restituiscono la bellezza e la funzionalità dei punti vendita Olivetti, combinazione sapiente di architettura, tecnologia e arte. A realizzare gli scatti sono stati grandi nomi della fotografia italiana e straniera; in mostra, infatti, sono esposte le stampe originali di Ugo Mulas, Marco Ambrosi e Paolo Monti che rievocano il negozio di Venezia, mentre le fotografie di Erich Hartmann, Ezra Stoller e Hans Namuth raccontano il negozio sulla Fifth Avenue, quelle di Rolly Marchi insieme allo slide show di diapositive di Reggie Jackson e Jean-Louis Bloch Lainé restituiscono lo spazio di Parigi. Fil rouge di tutti gli ambienti di "I negozi Olivetti. Poter scegliere la bellezza" sono naturalmente le macchine per scrivere e i prodotti storici di quella che è considerata un'azienda modello, tra le più illuminate del suo tempo. Il 'viaggio' prosegue mostrando lo sviluppo storico dei negozi, a partire dagli anni '30 con lo showroom del punto vendita di Torino progettato da Xanti Schawinsky; quindi, con i progetti dei negozi italiani e stranieri del dopoguerra, aperti negli anni '40 e '50 e progettati da Gian Antonio Bernasconi, fino al negozio di Roma su progetto di Ugo Sissa del 1946 e caratterizzato dal grande affresco di Renato Guttuso, oggi ospitato all'interno dell'Officina H di Ivrea. America significa, invece, immergersi nelle atmosfere degli anni '50 per ammirare i negozi di Chicago e San Francisco, progettati da Leo Lionni e Giorgio Cavaglieri, e poi, nel decennio successivo, ammirare l'estrosità dei progetti dell'artista Egidio Bonfante. A Parigi si impone il negozio di Franco Albini e Franca Helg nel 1959, mentre altri punti vendita Olivetti in Europa, realizzati negli anni '60, rimandano al progetto di Düsseldorf di Ignazio Gardella e a quello nel palazzo della Hispano Olivetti di Barcellona firmato dallo studio BBPR, tra 1959 e 1964. Non manca nel percorso espositivo lo storico negozio in Galleria Vittorio Emanuele a Milano, con l’allestimento dei primi anni sessanta di Giovanni Pintori immortalato in una foto di Ugo Mulas. Quindi, è la volta del lavoro dell’architetto Hans von Klier e dei suoi collaboratori, a fine anni '60, per testimoniare un’ulteriore evoluzione del linguaggio progettuale. Infine è proposto il negozio di Napoli, ideato da Piero Bottoni in collaborazione con Marco Pucci e Marcello Nizzoli nel 1937-38. Un salto all'indietro nel tempo per introdurre la statua in gesso "La Donna Volante, realizzata dall'artista berlinese Jenny Wiegmann Mucchi" visibile in anteprima . L'opera che decorava la vetrina del negozio Olivetti di Napoli risultava scomparsa dopo la seconda guerra mondiale. Solo nel 2019 è stata ritrovata a Ivrea, in un solaio della fabbrica di mattoni rossi, e ora dopo un restauro è in finalmente esposta. "I negozi Olivetti. Poter scegliere la bellezza" si inserisce nel più ampio progetto espositivo 'Olivetti e la Cultura nell’impresa responsabile'; con progetto di allestimento e organizzazione a cura di Costanza Casali, curatela del progetto scientifico di Paola Mantovani e Marcella Turchetti. Fino al 31 dicembre.

L'arte contemporanea in dialogo con il passato. Gli spazi della galleria Salamon accolgono sette opere inedite di Antonello Viola, che nascono dal confronto con una bellissima "Madonna con bambino di Filippo Lippi del 1433, e lo stesso capolavoro antico, unico a essere custodito in una collezione privata. A proposito della sua pratica artistica, “il passato oltre che ispirazione è anche un aiuto nel ricucire e reinterpretare il presente” spiega Viola. Secondo l'artista romano, la pittura richiede un processo lento, invitando l'autore a una lunga frequentazione con il dipinto e sviluppando un dialogo tra due entità diverse che si contaminano l'una con l'altra. I lavori di Viola, frutto di tempi lunghissimi di realizzazione, finiscono per rappresentare ognuno “un segmento temporale, una porzione di vita”, dichiara Matteo Salamon. Le opere esposte nascono da un foglio di carta giapponese di medio o piccolo formato oggetto di una serie di stratificazioni successive, di campiture e toni di colore che reagiscono l’uno all’altro facendo ispessire la carta fino a farla dissolvere nel colore. Non la carta, ma la 'carta-colore' è il medium specifico dell’artista, che gli consente di realizzare, dopo un ultimo strato di foglia d’oro, di oro bianco o rame, un lavoro con l'aspetto di un 'quasi monocromo'. Su questo strato che chiude e custodisce, Viola dà vita a un nuovo inizio procedendo a uno scavo lieve per definire un nuovo disegno dell'opera, lasciando emergere gli strati sottostanti, la vita materiale del dipinto. La mostra è realizzata in collaborazione con Francesca Antonini Arte Contemporanea di Roma. Fino al 31 gennaio 2023

Gli spazi di NP Viewing room accolgono la mostra "Lettura classica", con la proposta di un nucleo di opere degli artisti, Giorgio De Chirico, Alekos Fassianos, Giulio Paolini, Salvo e Francesco Vezzoli, che condividono il richiamo all'epoca classica, interpretato da ogni autore, però, secondo la propria personale "lettura". È proprio questo, infatti l'obiettivo del progetto espositivo, che, tra capitelli, colonne, frammenti di statue classiche accostati alla rappresentazione di libri e combattenti, esplora come ogni artista abbia sviluppato il tema comune seguendo la propria poetica e ricerca. Le tre sculture in gesso di Giulio Paolini sono una perfetta rappresentazione della sua pratica concettuale ludica, mentre i lavori di Salvo costituiscono una lettura pittorica della classicità, con rovine architettoniche e visioni di colonne classiche studiate nei vari momenti del giorno e della notte, dipinte con colori vivaci. L'opera di Francesco Vezzoli conferma l'importanza, per l'artista, della conservazione del patrimonio artistico e archeologico. Diversamente da riferimenti architettonici e scultorei classici, le opere esposte di Giorgio De Chirico e di Alekos Fassianos vedono protagonisti gladiatori e guerrieri. Fino al 22 dicembre.

Gli spazi di Prometeo Gallery Ida Pisani accolgono la personale di Tiziana Pers, la cui ricerca artistica si focalizza su temi legati alla questione animale e ai parallelismi tra le diverse forme di discriminazione e potere. L'esposizione si inserisce nel progetto in progress dell'artista, Art_History, che si sviluppa ogni volta sulla base di uno scambio, regolato da un contratto, tra un dipinto di Pers e uno o più animali destinati al macello. Si può assegnare un valore economico a un essere vivente? E a un’opera d’arte? Sono alcuni degli interrogativi al centro della riflessione dell'artista visiva che approda al confronto con la pervasività dominante dell’industria alimentare. Il progetto espositivo, in particolare, fa riferimento a undici lumache di terra, municeddhe, salvate da Pers da quel tragico percorso che inizia con la vendita e termina con la morte, nel quale l’animale cessa, passo dopo passo, di essere un corpo vivente per diventare uno ‘strumento’ muto destinato ad altro, all'interno di una pratica di dominio a senso unico. Le lumache salvate consentono di comprendere le possibilità etiche ed estetiche insite nella loro sopravvivenza, ottenuta da Pers con l'ennesimo scambio, documentato da undici contratti, e rappresentata formalmente da da tracce visive e sonore, come fotografie, dipinti, disegni e video, segni di un attivismo che rompe le infrastrutture del sistema creando falle di vita anziché ridursi a una critica frontale ed esteticamente spettacolarizzata. Le municeddhe, silenziose ed erranti, sono corpi considerati “improduttivi” perché vivono una vita diversa senza direzione precisa, che incorporano, però, nella loro essenza nomadica una pienezza nei confronti del mondo circostante. Una verità che appartiene alle opere di Pers e che si amplifica attraverso una processualità concreta fatta di storie, relazioni, firme e contratti, in cui l’animale-umano e l’animale-lumaca si proiettano reciprocamente dissolvendo ogni confine. I corpi visibili delle undici lumache testimoniano un movimento emotivo, anch’esso nomade, come se le opere esposte fossero l’eco di visioni interiori di amore e allo stesso tempo di resistenza. Non serve avere una traiettoria precisa in questo spazio ibrido, ogni direzione diventa illusoria, come mette in luce filosofo Leonardo Caffo nel testo critico: “Dove conduce una fuga? C’è un fuori, un dentro. Sono piccola, mi sento piccola: libera, liberata, liberatoria. E fuggo, rapida. O lenta? All’occhio esterno sfugge ciò che per quello interno è invece palese, che il movimento che intrappola non è poi così diverso da quello che spezza le catene”. Fino al 12 gennaio 2023.

La Galleria Luisa Delle Piane riprende a distanza di anni un progetto espositivo dedicato alle 'Pelli industriali' di Gaetano Pesce, da cui il titolo della mostra "è bello continuare”. L'architetto, designer e scultore decise circa trenta anni fa di fare dei disegni non più sulla carta che riteneva obsoleta, ma con resina su resina. “Per questo cominciai a sperimentare la resina poliuretanica come supporto delle mie rappresentazioni (e per i soggetti stessi). Le prime “Pelli” sono degli inizi anni novanta e da allora non sono state alterate dal tempo”, spiega lo stesso Pesce. Siamo nel 1997 quando Luisa Delle Piane incontra l'architetto e l'anno successivo nasce l'idea della mostra "Pelli Industriali" presentata al Salone del Mobile dedicata ai suoi nuovi lavori. Per la prima volta Pesce espone dei disegni a muro, realizzati con la resina, chiamati 'pelli' per la loro lucentezza e flessibilità. Dopo oltre vent'anni, negli spazi della galleria milanese sono esposte, fino al 1 aprile 2023, 12 'pelli industriali' che Pesce ha realizzato dal 1995 a oggi, includendo anche l'inedita "fish skin", mai esposta prima d'ora. Le 'pelli' possono essere considerate ritratti, mappe, paesaggi o ogni tipo di iconografia esistente dai tempi dell’affresco e delle vetrate policrome, ma in esse è racchiusa la ricerca della loro contemporaneità e l’emergenza di comunicare un messaggio. Pesce ha continuato la sua sperimentazione e lo studio sui materiali originali, sulle forme e sulle tecniche di costruzione che esprimono la qualità di vita del nostro tempo, il consumismo, l’urbanità, la facilità di accesso all’informazione e quant’altro, sostenendo allo stesso tempo i valori umanistici per il futuro

Protagonista della nuova mostra, che apre il 26 novembre negli spazi di Galleria Massimo Minini, è Giulio Paolini. L'artista, che a ottobre ha vinto il Premio Imperiale 2022 per la Pittura istituito dalla Japan Art Association e considerato il Nobel in campo artistico, presenta un progetto espositivo dedicato all'immateriale, una riflessione sull'idea stessa di esposizione. "Momenti della verità" celebra anche la storia della galleria e l'amicizia tra Giulio Paolini e il gallerista Massimo Minini, iniziata nel 1976, che ha visto transitare in galleria opere e testi di Paolini molto importanti, da lasciare un segno. “L’importanza del lavoro di Giulio Paolini risiede nell’aver tolto ogni traccia di sentimentalismo, conservando tuttavia il sentimento. Un lavoro freddo e poetico (direi freddo e quindi poetico), di una poesia che viene da quella ragione che dovrebbe essere la base di ogni sentimento. Un lavoro che riassume, riesuma, richiama il passato portandolo a nuova vita, essenziale, mentale, un ricordo pieno di attenzione nel citare gli antichi”, scrive Minini nel testo che accompagna la mostra. Poi ci sono state altre mostre, esterne e nei musei, questa che il gallerista ha “trovato il coraggio di chiedere è la settima. Senza reverenza, ma con rispetto e ammirazione, siamo consci dell’importanza di questo continuum che è anche la cifra del nostro Paese: una terra dove il miracolo dell’arte rifiorisce ad ogni primavera e, calato il sette di denari, par che dica: “Italians do it better”, scrive Minini.

Accompagna la Biennale Arte 2022 alla chiusura, nel suo weekend conclusivo, Venezia Art Week, l'appuntamento dedicato esclusivamente all'arte contemporanea nelle sue prospettive inedite. Ad animare la scena sono le gallerie veneziane a impronta femminile di Venice Galleries View, con la complicità di istituzioni pubbliche come Fondazione Bevilacqua La Masa e M9, predisposte al dialogo con spazi indipendenti e altre realtà, di Venezia e Mestre, che guardano allo sviluppo culturale del territorio. Tutto grazie a un programma articolato e diffuso di mostre, talk, promenade e visite guidate, eventi itineranti, momenti conviviali e incontri con gli artisti e i curatori. Venezia Art Week si propone al pubblico dell'arte con una visione critica e curatoriale diversa, mostrando sinergie inaspettate fra i diversi linguaggi della ricerca contemporanea, pratiche di sperimentazione culturale e aggregazione creativa, offrendo alla città occasioni di contaminazioni tra arte e altre eccellenze lagunari, nel segno di una proposta culturale vivace aperta al cambiamento e di un'identità urbana riconosciuta all'arte da tutelare e valorizzare. Venezia si scopre oltre il proprio patrimonio artistico, ricca di talenti e spazi reinventati, che si trasformano in luoghi di conversazione e incontro. Il giorno del finissage, il 26 novembre, brunch, visite alle mostre e l'apertura straordinaria delle gallerie dalle ore 10 alle 20. Venice Art Week è coordinato da Cescot Veneto.

Riaperta il maggio scorso nella sua sede rinnovata, Atipografia, progetto per l'arte contemporanea, presenta per la programmazione invernale, negli spazi della galleria, la personale di Denis Riva. Nell'esposizione, l'artista emiliano interpreta emozioni e sensazioni con i quali l'uomo si è sempre dovuto confrontare, paura, solitudine, abitudine. Le parole del titolo suonano come una doppia incertezza che descrive in parte il suo stato interiore e corrisponde al suo vissuto. “Un Limbo al quadrato” che “cerca di mettere in dubbio le cose che sembrano certe ma che in realtà non conosciamo bene e che forse non comprendiamo”, è il pensiero di Riva. Lo spazio della galleria è concepito come una tela immensa, mentre una grande installazione inedita, composta da un gruppo di sagome dipinte su legno, occupa la sala principale. Le figure, in relazione l'una con l'altra, paiono indefinite, fluide. L’uomo, senza volto, è perso in una dimensione esistenziale che vive fuori dal tempo, diventa irriconoscibile nel perdere la propria identità fino a risultare un ibrido, un uomo-animale, esito di contaminazioni che sfidano le classificazioni del mondo naturale. L'ibridazione non è considerata una punizione, ma è vista come una condivisione del peso dell'esistenza nella quale l'uomo paga la mancanza di rispetto nei riguardi del pianeta. Fino al 24 dicembre.

La mostra "L’arte inquieta. L’urgenza della creazione" segna la riapertura di Palazzo Magnani dopo due anni di chiusura per ristrutturazione. Con la curatela scientifica di Giorgio Bedoni, Johann Feilacher e Claudio Spadoni, il progetto espositivo indaga lungo la linea della storia il tema urgente dell'identità presentando le opere di una selezione di artisti, che attraversano il Novecento e l'età contemporanea e riflettono sulla propria realtà interiore e sul mondo. "L’arte inquieta" è figlia di vicende personali e collettive, nasce dall’urgenza espressiva dell’artista e dall’esplorazione degli infiniti volti ed espressioni dell’identità umana. In mostra la visione di maestri e poetiche fondative della modernità, che hanno percorso sentieri non battuti, si relaziona, sulle frontiere dell'immaginario, con le opere dei solitari dell’art brut, visionaria e dai linguaggi inediti, e quelle provenienti dall’Archivio Ex Ospedale San Lazzaro del Museo di Storia della Psichiatria di Reggio Emilia, tra le maggiori collezioni nel campo in Europa. Così i lavori di grandi artisti del Novecento come Alberto Giacometti, Jean Dubuffet, Hans Hartung, Anselm Kiefer, Antonio Ligabue, Pietro Ghizzardi, Cesare Zavattini, Maria Lai, Alighiero Boetti, Emilio Isgrò, Carla Accardi, appartenenti a musei e collezionisti privati, si affiancano dipinti, sculture, disegni e grafiche che talvolta provengono da mondi esclusi, opere oggi considerate un prezioso e necessario archivio dell’immaginario. Il percorso espositivo si sviluppa per stanze tematiche nelle quali gli autori e i lavori esposti, affini per generi e linguaggi espressivi, intrecciano un confronto rispetto all'inquieta ricerca sull’identità umana. Fino al 12 marzo 2023.

Apre negli spazi di P420 la prima personale di June Crespo che segue la mostra "Foreign Bodies" del 2018 in cui la scultrice spagnola presentava le sue opere al fianco di John Coplans. Facendo riferimento alla parola inglese pulse, che evoca un impulso del corpo (un battito del cuore), un ritmo (come quello musicale) e un'energia vitale, "Acts of pulse" si propone come traduzione artistica di questa qualità della parola, ovvero il contenere più movimenti del pensiero in un unico segno scritto, una prerogativa che appartiene anche al linguaggio scultoreo. “La forma di un’opera esprime la natura proteiforme della materia che continuamente si trasforma e rimodella la realtà poiché contiene al suo interno altre possibili espressioni del mondo (il cosmo è in-habited, già abitato dentro), come una particella elementare che si combina indefinitamente a seconda delle forze che agiscono e delle interazioni innescate” spiega Marinella Paderni nel testo che accompagna la mostra. Crespo ha realizzato espressamente per il progetto espositivo un nucleo di nuove opere, nelle quali sperimenta nuova associazioni di materiali, come fusioni in bronzo in dialogo con elementi tessili, resine, acciaio e cemento. Materiali così diversi accostati fra loro, alcuni tradizionali altri contemporanei o appartenenti al quotidiano, producono una forma particolare di straniamento. Il lavoro dell'artista prende forma mentre si fa, è il luogo dove qualcosa 'accade', una metodologia istintiva che annulla la relazione gerarchica tra gli elementi , che sono contemporaneamente basamento, cornice, supporto, scultura. Secondo Paderni, l’artista spagnola indaga le possibilità espressive nascoste delle cose, le trasformazioni dei materiali che trovano nuove soluzioni formali e concettuali grazie ai processi nuovi e arcani della scultura, contribuendo felicemente al discorso sul divenire del linguaggio scultoreo contemporaneo in un’epoca che vede la fisicità del mondo rispondere al distanziamento di questi tempi. Fino al 5 febbraio 2023.

Quando i progetti artistici si collegano a battaglie per i diritti, come l'eliminazione della violenza sulle donne, impegnandosi contro la discriminazione di genere. Succede al Museo Novecento dove Julia Krahn presenta l'ultima serie fotografica ST. JAVELIN, nella quale le donne ucraine rifugiate si raccontano attraverso immagini e interviste. Durante la guerra in Ucraina è nata e si è diffusa l'immagine di Saint Javelin, una madonna che tiene tra le braccia lo javelin, un missile anticarro emblema della resistenza. Dunque una santa, che rappresenta il paradosso di una madre con in mano un’arma, la morte invece della vita, ribaltando l'iconografia religiosa antica di Maria che ha tra le braccia suo Figlio, ha dato l'input all'artista multidisciplinare tedesca per questo lavoro imperniato sulle storie delle donne che la guerra la subiscono. Il loggiato esterno del Museo Novecento accoglie dieci bandiere con i ritratti di donne ucraine rifugiate, icone laiche che si affermano nello spazio con tutta la forza e la dignità del messaggio di resistenza e pace che veicolano. “Julia Krahn non ci offre la parte più violenta della guerra, ma trasforma in eroine e sante queste figure femminili”, dichiara Sergio Risaliti, curatore del progetto espositivo e direttore del Museo Novecento. Nella serie fotografica è incluso anche un autoritratto dell’artista, che stringe in mano la sua arma, la macchina fotografica, e invita le rifugiate a fare lo stesso, descrivendo le proprie armi di resistenza quotidiana, fatte per costruire e mai per distruggere. Il loggiato interno, al primo piano del museo, accoglie un'altra installazione dell'artista, 'Die Taube', otto fotografie stampate su carta per affissione e riprodotte in grande formato, dedicate all'Ultima Cena, tematica che appartiene alla ricerca artistica di Krahn e a cui si dedica dal 2010. Fino al 29 gennaio 2023.

Due ricerche scultoree in dialogo. Gli spazi di z2o project ospitano il progetto espositivo che affianca la personale di Giovanni Kronenberg con alcune opere dell’artista americano Richard Nonas. I due artisti si erano incontrati nel 2003, in occasione del Corso Superiore di Arte Visiva della Fondazione Ratti di Como, quando Richard Nonas era Visiting Professor e Giovanni Kronenberg uno degli artisti partecipanti. A distanza di venti anni, la mostra romana dà corpo a un'ideale conversazione tra i due scultori attraverso una selezione delle loro opere, che evidenziano, nelle rispettive pratiche, punti di contatto e di divergenza. Kronenberg e Nonas condividono una predilezione per oggetti e materiali inermi, muti e silenti, come il legno, le pietre, i metalli, i minerali e gli oggetti comuni. Nonas utilizza un linguaggio post minimalista improntato alla serialità, mentre Kronenberg sviluppa una ricerca orientata all’isolamento di oggetti che sono colti nella loro intrinseca inusualità. E ancora accomuna i due artisti una predilezione per configurazioni formali frutto di spostamenti minimi, all’interno di modalità installative definite dall’economia dei mezzi e da scelte spaziali rigorose. L’arte ha per Kronenberg e Nonas un'essenza spirituale e meditativa, esprimendo una poetica orientata all’essenzialità delle forme e a operazioni scultoree appena accennate, quasi impercettibili. L'esposizione, realizzata in collaborazione con P420 di Bologna, prosegue fino all'11 gennaio 2023.

Protagonista della mostra presentata negli spazi di Gagosian è Karin Kneffel, che per la prima volta affronta la figura umana nei suoi lavori. Nella sua ricerca artistica, Kneffel si è focalizzata sul rapporto tra pittura, spazio e tempo, stratificando e ricombinando oggetti, luoghi, tracce ed eventi in maniera realistica e seducente. I lavori dell'artista tedesca, interni e nature morte, che traggono ispirazione da ricordi personali o da fonti della storia dell'arte, sfruttano il potenziale rappresentativo del mezzo pittorico mettendo in luce la loro natura fittizia. Distante dal suo lavoro precedente, Kneffel mantiene inalterata la sua tecnica raffinata, così che le superfici lisce e luminose dei suoi dipinti a olio mostrano una profondità visiva intensa e allo stesso tempo una complessità concettuale. In "Face of a Woman, Head of a Child", la serie inedita dell’artista è costituita dai volti di sculture antiche in legno policromo, che si caratterizzano per la scelta di proporzioni e inquadrature misteriose e sorprendenti. Il linguaggio pittorico, in tutte le sue potenzialità, così come avveniva per le sue splendide nature morte barocche, consente all'artista di definire con ruvidi dettagli i contorni forti e le sfumature sottili dei volti primitivi scolpiti e dipinti, così come di restituire l'immediatezza emotiva. Per anni l’artista ha fotografato sculture del primo Rinascimento Nordico, e per la prima volta la sua ricerca è utilizzata in questa serie di dipinti. Kneffel trascura qualsiasi attribuzione religiosa identificativa per concentrarsi sui tratti del viso. Dipinge primi piani molto allargati dove, sebbene la donna e il bambino mostrino una marcata somiglianza fisica, la distanza dei loro sguardi è accentuata dallo spazio che li separa. I dittici di "Face of a Woman, Head of a Child" sono rappresentazioni meticolose di soggetti specifici, dipinti con grande attenzione alla materialità delle sculture originali. L'artista tedesca riesce a trasmettere le qualità tangibili delle sculture in legno intagliate e dipinte rendendo i giochi di luce sulle loro superfici, evidenziando la loro forma tridimensionale e lo stile dello scultore. I tratti di ogni donna e bambino sono accentuati nella loro artificialità surreale attraverso le imperfezioni e i tratti originali fisici. Minimizzando l’iconografia religiosa, per Kneffel le sculture son oggetti tridimensionali altamente soggettivi, impregnati di una vitalità che si anima grazie alla pittura. Fino al 14 gennaio 2023.

Il programma autunnale espositivo del MACRO si conclude con l'apertura di tre nuove mostre. Nell'ambito del progetto museale volto a indagare la relazione tra Roma e i percorsi di importanti artisti internazionali, che hanno vissuto e lavorato nella capitale alla fine del XX secolo,"Rome is still falling" presenta una selezione di opere di Robert Smithson, fino al 21 maggio 2023. Sono esposti venti lavori giovanili dell'artista statunitense, realizzati tra il 1960 e il 1964, tra cui molti inediti, che mettono in luce un’evoluzione del suo percorso artistico. Smithson si interessa inizialmente alle tematiche religiose e spirituali, per poi orientarsi, dopo il suo viaggio a Roma nel luglio del 1961, verso sperimentazioni legate alle immagini della cultura popolare e con tecniche miste. In particolare, Smithson arriva a Roma, a ventitré anni, per una personale di opere a tema religioso negli spazi della galleria George Lester. Su questo momento specifico, corrispondente anche a una fase di crisi artistica e spirituale dell’artista, si fonda il progetto espositivo che lo prende quale punto di partenza per presentare un nucleo delle sue opere meno conosciute. Nello sviluppo del suo lavoro, Smithson passa dall'attenzione per l’immaginario religioso a quella per figure tratte da fumetti, riviste erotiche e dalla cultura popolare.

La mostra "Pier Paolo Pasolini ed Ezra Pound. A Pact", a cura di Giuseppe Garrera e in programma fino al 19 febbraio 2023, contestualizza la figura di Pasolini in un momento particolare della sua storia di poeta: l’incontro televisivo con Ezra Pound, avvenuto nel 1967, voluto da Vanni Ronsisvalle per la serie Incontri, e trasmesso dalla Rai nell’anno successivo, come punto di arrivo di un percorso di odio, ripensamento e ricongiungimento. Pasolini, infatti diversamente da Montale, Ungaretti, Quasimodo, Vittorini, Sereni e dagli amici Penna, Moravia, Bertolucci si era opposto, fin dal 1956, a firmare un appello per liberare Pound dall’ospedale psichiatrico criminale federale dove era recluso da tempo in seguito alla conversione della sua condanna a morte per alto tradimento, collaborazionismo e propaganda antiamericana e fascista. L'esposizione, oltre al video che ripropone una sorta di cerimonia di amicizia e di riconoscimento del valore del pensiero di Pound da parte di Pasolini, riunisce anche una selezione di documenti storici, articoli di giornali e libri che documentano l’evoluzione del rapporto tra i due poeti, ripercorrendo una storia di devozioni, dubbi, perplessità e considerazioni sul ruolo della poesia. Completano la narrazione gli interventi di tre autori contemporanei, Allison Grimaldi Donahue, Olaf Nicolai e Luca Vitone, che offrono la loro lettura personale di quanto accaduto.

Due nuovi lavori di Giulia Cenci e Jim C. Nedd si aggiungono alle opere già in mostra di "Retrofuturo", la sezione di 'Museo per l’Immaginazione Preventiva' che ripensa la collezione del MACRO sviluppando un percorso in fieri rivolto alle nuove generazioni, dove temporalità diverse si sovrappongono stimolando una riflessione sul ruolo di una collezione pubblica d’arte contemporanea nel XXI secolo. La scultura di Giulia Cenci, 'Figura che divora se stessa (2021)' rispecchia una pratica artistica che fonde elementi naturali e sintetici presi dal quotidiano per creare delle figure ibride, frutto di processi di trasformazione ricolti a indagare le relazioni tra mondo tecnologico, umano, animale e vegetale. Il lavoro fotografico 'Camouflage Milieux (2022)' di Jim C. Nedd è basato su un set binario, sopra e sotto il Mar Tirreno.

Era il 1953 quando Guernica veniva esposta a Palazzo Reale, a Milano, all'interno della più grande retrospettiva dedicata a Picasso mai tenuta in Italia. La mostra, più ridotta, si spostò poi a Roma ma senza il grande capolavoro che da allora non entrò più in Italia. A distanza di settant'anni, il MAN_Museo d'Arte Provincia di Nuoro celebra l'opera emblematica, portavoce del messaggio di denuncia contro l'orrore di tutte le guerre, purtroppo oggi ancora così attuale. L'omaggio si realizza in due sezioni, l'eco di Guernica nella produzione artistica di Picasso e il racconto della genesi dell'opera attraverso la narrazione visiva di Dora Maar, fotografa e compagna all'epoca dell'artista spagnolo. La prima corrisponde al dittico di incisioni intitolato 'Sueño y mentira de Franco', un'invenzione originale che nasce dalla stessa idea e forza creativa di Guernica, vero e proprio contraltare grafico del grande dipinto. La seconda sezione fa riferimento alla testimonianza di Maar, che documentò con le sue fotografie, giorno per giorno, il lavoro di Picasso: una serie di scatti che permettono una ricostruzione filologica della creazione di Guernica. Completano il progetto espositivo una selezione di immagini scattate nel 1953 da Mario Perotti in occasione dell'esposizione milanese, nell'allestimento della Sala delle Cariatidi colpita dai bombardamenti, una situazione drammatica tale da convincere Picasso a esporre Guenica in quel contesto così vicino allo spirito del suo dipinto. Fino al 19 febbraio 2023.