Valeria Solarino e i 20 anni d’amore con Giovanni Veronesi. Intervista esclusiva | Intrattenimento

2022-12-07 16:41:21 By : Ms. Christine Ma

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Festeggia anche 20 anni di carriera con una serie dove interpreta un’icona, Lucia Bosè. «Ma quel che conta è restare fedeli a quel che si è, dentro e fuori». E infatti ha chiesto a Oggi di non ritoccare le sue foto

In quest’intervista esclusiva a Oggi, Valeria Solarino parla dei suoi 20 anni di carriera, del nuovo ruolo che interpreta in una serie tv (un’icona, Lucia Bosè). E della sua lunga storia d’amore - foto | video 

Cominciamo dal backstage. Non c’è personaggio che non si aspetti, prima della pubblicazione delle proprie foto, la rimozione di pur impercettibili rughe e piccole imperfezioni. Valeria Solarino ci ha chiesto di utilizzare gli scatti originali, senza alcun ritocco. «Sto per compiere 44 anni e li ho vissuti, non sono nata oggi. Perché non dovrei avere le rughe? Il mio tempo è questo», racconta. Di rughe (finte) però ne ha dovute anche aggiungere, per interpretare Lucia Bosè nella serie (Bosé) sulla vita del figlio Miguel, on line su Paramount+. «Una responsabilità interpretare un’icona, mancata solo due anni fa. Mi spaventa molto il giudizio di Miguel, che pure è stato coinvolto dagli autori della serie», spiega.

Lucia ha avuto una vita lunga e intensa. Anzi due: una in Italia, dov’è nata ed è diventata una diva, la seconda in Spagna. Che cosa ha capito di lei, interpretandola? «Lo spartiacque tra la prima vita – di modella, Miss Italia, attrice di successo per i più grandi registi – e la seconda è stato l’incontro col torero Dominguìn. Un amore da film iniziato quando lei va in Spagna per girarne uno. Si incontrano a una festa, si piacciono. Il giorno dopo, davanti a un caffè, con piglio da macho degli anni ’50 lui le dice: “Sei la madre dei miei figli” e le propone un patto: ci sposiamo, tu smetti di fare l’attrice, io di toreare.Nonostante – al contrario di lui – lei fosse all’apice della carriera, Lucia accetta, e accetterà anche di non parlare né cucinare più italiano, di rinunciare a sé e alle proprie radici per lui. Che dopo il matrimonio tornerà a toreare. E a tradirla. Si lasceranno dopo 12 anni e 3 figli, ma lei continuerà a considerarsi sua moglie per tutta la vita. Nella serie, alla morte di lui, Lucia dice: “È stato mio marito per oltre 40 anni,ma non sono la sua vedova”».

Valeria Solarino e Giovanni Veronesi, relax in Costa Smeralda – video

Era considerata una ribelle, a quei tempi. Cosa la portò a farsi ammansire così da lui? «C’è un evento traumatico nella sua infanzia che spiega molto di questo suo successivo abbandono totale al marito. Lucia era nata a Milano e, nel 1942, durante un bombardamento, la sua famiglia è costretta a lasciare la casa. I suoi caricano le poche cose su un carretto e fuggono. Dimenticando la piccola Lucia, che aveva 11 anni. Lei correrà dietro quel carretto per 2 chilometri. Racconterà nella sua autobiografia che fu quando finalmente li raggiunse che capì di essere sola al mondo. È lì, a mio avviso, che nasce la sua abnegazione per la famiglia. È sempre difficile capire dove finisce l’amore e dove iniziano dipendenza e bisogno».

Al contrario, lei lavoro e coppia li ha tenuti insieme: sta per festeggiare 20 anni di carriera e 20 accanto al regista Giovanni Veronesi.Quale delle due relazioni l’ha fatta crescere di più? «A far crescere le persone è il modo in cui reagiscono alle cose, quindi anche i rapporti di coppia, certo. Ma la definizione di una persona non passa da altri che da sé. Non mi fanno effetto i 20 anni con Giovanni, perché nel nostro stare insieme non c’è alcuna costruzione, è uno stare “naturalmente” insieme, uno starsi accanto. Mi fanno più impressione i 20 anni di carriera: quelli professionali sono traguardi più difficili. Il mio chiodo fisso, fin da bambina, era individuare un lavoro che mi rendesse felice di alzarmi al mattino. Esserci riuscita mi dà un senso di impresa. E di privilegio, visto che per molti è un’ambizione frustrata persino avere un lavoro quale che sia. Io ho capito presto quale fosse il mio sogno e ho avuto la fortuna di una madre che mi ha incoraggiata. Studiavo filosofia, ma quando a 20 anni ho fatto il primo corso di teatro e ho capito che era quella la mia strada, lei mi ha semplicemente detto “fai quello che ti piace”».

Valeria Solarino e Giovanni Veronesi, vacanze un po’ troppo in relax – guarda

In un’intervista di 20 anni fa lei si definì «rancorosa, vendicativa, insicura anche dell’aspetto». Oggi risponderebbe allo stesso modo? «Insicura sì, sempre. Rancorosa e vendicativa non credo di esserlo mai stata davvero. Rancore e vendetta non hanno senso: il primo è qualcosa che porti dietro come una zavorra e la seconda ha a che fare con ciò che è già avvenuto, contro cui non puoi fare niente. Come per il tempo che passa, le rughe».

Cui lei sembra quasi affezionata. Perché? «La chirurgia ha creato un canone estetico da cui è facile essere sedotti. Vale per tutti e ancora di più per chi, per lavoro, è esposto al giudizio di chi guarda, come le attrici. Per questo non biasimo chi si ritocca. Solo che io nonmi riconoscerei, sono dell’idea che la bellezza c’entri con l’essere fedeli a quel che si è».

Valeria Solarino diventa Lucia Bosè – video

Una volta si è detta dispiaciuta di «non aver vissuto gli anni delle contestazioni». Lo è ancora? «Certo. Da piccola vivevo a Torino e sognavo di venire a vivere a Roma, perché qui c’erano le manifestazioni. Invece per manifestare dovevo partire da Torino di sera e passare la notte in bus. Manifestavo per le riforme scolastiche, i temi sociali, il lavoro, anche per cose che ancora non mi riguardavano direttamente: difenderle mi restituiva il senso dello stare insieme, della collettività. Protestare in fondo è questo: riflettere e impegnarsi, entrare nelle cose. Senza impegno è tutto orizzontale, senza profondità. Come sui social, che giorno dopo giorno ci spingono a focalizzarci solo su noi stessi, facendoci perdere il senso e l’importanza della comunità. E così, ogni volta che qualcuno prende posizione su qualcosa, la prima reazione degli altri è chiedersi quale sia il suo tornaconto. A me succede spesso».

Su che cosa? Ci fa un esempio? «Per esempio quando mi espongo su un tema che mi è caro, quello dei migranti. Mio papà vive a Pozzallo, in Sicilia, che per me è sempre stato il luogo dell’infanzia, dei primi fidanzati, delle vacanze. Ora penso a quel mare come al mare che porta i migranti morti. Ma se mi espongo sul tema, la prima reazione è la diffidenza: “Un’attrice benestante che ne vuole sapere?”. Ma proprio perché non ho il problema di come arrivare a fine mese ho il dovere morale di preoccuparmi per chi è in difficoltà, anche se sto comodamente nella mia casa di Roma. Perché io mi ci sento ancora, parte di una comunità. Sono patriottica, ma sentirsi parte di questo Paese non vuol dire rifiutare gli altri, così come avere un’identità non vuol dire doverla necessariamente contrapporre a quella altrui. Che si abbia paura dell’altro può essere comprensibile, quello che è inammissibile è che le paure si cavalchino, come fa questa destra estrema».

Però questa destra ha portato la prima donna a Palazzo Chigi. È una buona notizia? «Non bado al genere, valuto le persone. E ho il timore che la classe dirigente ora al governo possa legittimare atteggiamenti e comportamenti che non condivido. Chi governa dovrebbe rappresentare un modello e modelli non ne vedo, vedo politici peggiori della società civile. Certo, razzismo e odio ci sono tra la gente, se no questa destra non avrebbe vinto. E ci sono problemi, paure. Ma cavalcarli è imperdonabile. Un conto è che a definire “una schifezza” le famiglie arcobaleno sia uno al bar, ma se a farlo è Lorenzo Fontana, che non disconosce quella frase neanche dopo esser diventato terza carica dello Stato, il messaggio è che non ci sia niente di male a dirlo. Sono cose che minano il senso di comunità».

Cos’è che lo rafforzerebbe? «La scuola, ripensata. Dovrebbe chiudere a fine maggio e, per tutto il mese di giugno e per tutto il mese di settembre, prima di ricominciare le lezioni a ottobre, i ragazzi dai 6 ai 18 anni dovrebbero essere assegnati a servizi socialmente utili: giocare a carte con gli anziani negli ospizi, coi bimbi negli orfanotrofi, pulire il quartiere. Bisogna tornare a insegnare ai ragazzi che quello che hanno intorno li riguarda, fa parte della loro vita».

In Viola di mare è stata una donna nella Sicilia del 1800 che si veste da uomo pur di sposare l’amata. Ora è a teatro con Gerico Innocenza Rosa, storia di una transgender. Ha un pallino per l’identità di genere? «Con Gerico ho cambiato l’idea che avevo di identità di genere, che non è che una sfumatura dell’identità tout court. E l’identità non si costruisce aggiungendo, è qualcosa che emerge solo dopo che hai tolto tutte le sovrastrutture, la “scaletta” che gli altri si aspettano tu rispetterai nella vita: l’eterosessualità, il matrimonio, i figli…Ma quanti si chiedono se quella è davvero la loro scaletta?».

Ha mai rispettato scalette non sue? «Penso di no. Le grandi scelte della mia vita sono figlie dell’istinto. Per dirne una: non ho mai pensato al matrimonio e quindi non mi sono sposata».

Rita Rusic, la nuova vita a Miami. E ha un fidanzato di (solo) 32 anni